Immaginatevi
di fare un errore nella vostra carriera. Ora immaginate che da quell’errore
dipendano le sorti di un Paese intero.
di
Angela Marchioron
Un’esperienza
comune tra i calciatori quella di sbagliare un calcio di rigore in una partita,
ma soprattutto in finale. Ce lo insegnano i francesi Tchouameni e Coman, che in
questo ultimo mondiale hanno regalato la coppa all’Argentina; Saka e Rashford
agli Europei 2020; Trezeguet nei mondiali 2006 contro l’Italia. Ma il primo che
viene in mente a noi italiani, e agli studenti del Fogazzaro stessi, è Roberto
Baggio.
Ma
perche proprio Baggio? Sicuramente capire il contesto ci aiuta.
Era
il mondiale USA ’94 e l’Italia arriva a scontrarsi con il Brasile in finale.
L’obbiettivo era quello di riscattare quel mondiale perso a casa nostra in
semifinale contro l’Argentina di Maradona, e sembrava di esserci quasi
riusciti. L’italia, che ai gironi passa come migliore terza, si ritrova nelle
fasi a eliminazione diretta grazie ai gol di Baggio che con una doppietta ci
porta in finale contro il Brasile.
Il
17 luglio si gioca la finale della coppa del mondo, a Pasadena. Il risultato
rimane bloccato sullo 0-0 non solo dopo i 90 minuti, ma anche dopo i tempi
supplementari. È la prima volta che l’Italia va ai rigori in una finale del
mondiale, e il ct Sacchi sceglie Baresi, Albertini, Evani, Massaro e Baggio
come rigoristi, in questo ordine. Parte l’Italia con Baresi, che sbaglia.
Lascia il dischetto a Màrcio Santos, e sbaglia anche lui. Albertini segna e gli
risponde Romàrio allo stesso modo. Anche Evani e Branco segnano, ma Taffarel,
il portiere brasiliano, para il tiro centrale di Massarro e Dunga non sbaglia.
3-2 per il Brasile a cui basta un solo rigore per vincere. Va Baggio, l’ultimo
degli italiani, l’ultima speranza per l’Italia. Era lui l’uomo degli ultimi
minuti, quello che aveva segnato alla Nigeria al 90’ e alla Spagna a due minuti
dalla fine, era lui l’unico che poteva risollevare una squadra, una
nazione intera segnando l’ultimo rigore. Parte, seglie di alzarla, lui che la
tira sempre rasoterra, ma la alza troppo e la palla va sopra la traversa. Il
Brasile è campione del mondo e Baggio rimane immobile intorno ai brasiliani che
festeggiano. Rimane lì nel dischetto, incredulo e incapace di capire quello che
sta succedendo, tanto da venire poi denominato “l’uomo che morì in piedi”. Non
era stato l’unico a sbagliare, ma era l’ultimo e, anche se tutti sapevano che
la coppa era già persa, si continuava a sperare.
In
quel momento l’Italia non perde solo un mondiale, perde molto di più. Perde
quell’illusione che faceva sognare tutti gli italiani, che li riuniva insieme,
mettendo in pausa le loro vite e i loro problemi per 90 minuti. Tutti
riponevano sogni e speranze in 11 giocatori che consideravano campioni, stelle,
supereroi. Ma Baggio è stato la dimostrazione che dietro ad ogni giocatore c’è
un uomo, e dietro ogni uomo un bambino. E per lui quella finale era il sogno di
sempre, contro il Brasile peraltro, e lui più di chiunque altro sognava di
segnare quel rigore e portare in alto il suo Paese. Di fronte a quell’errore
era il Baggio bambino che era scoppiato a piangere, lui per primo ci era
rimasto male, perché non aveva deluso solo sé stesso, ma una nazione intera e
ad oggi, quando tutti gli italiani lo hanno perdonato, lui è ancora fermo a
Pasadena. “Non ho mai smesso di pensarci, è un dolore con il quale bisogna
imparare a convivere”, dichiara in un’intervista.
Baggio
è diventato il simbolo dell’uomo dietro il campione, della fragilità, delle
debolezze, delle emozioni e gioie che muovono i giocatori di quel livello, quei
giocatori osannati quando vincono, ma maledetti quando perdono. Campioni che
lavorano tutta una vita per esaudire il sogno che hanno da bambini e che con un
singolo errore possono rovinare una vita intera.
Da
calciatore a musa per artisti: libri, film, canzoni dedicati a lui e alla sua
storia. Tra questi il brano di Diodato intitolato proprio “L’uomo dietro il
campione”, che in pochi minuti descrive non solo la sua esperienza, ma quella
di campioni ma anche di uomini comuni che inseguono i loro sogni, perché alla
fine i nostri idoli sono come noi. Tra le frasi più significative del pezzo
c’è: “Più di vent'anni in un pallone, più di vent'anni ad aspettare quel
rigore, per poi scoprire che la vita era tutta la partita, era nel raggio di
sole che incendiava i tuoi sogni di bambino, era nel vento che spostava il tuo
codino, che a noi già quello sembrava un segno divino”, e ancora “Che poi
Roberto in fondo tutto questo amore è pure figlio del coraggio di quel campione
che toccava ogni pallone come se fosse la vita. Lo so potrà sembrarti
un'esagerazione, ma pure quel rigore, a me ha insegnato un po' la vita”.
Quel
rigore è diventato prorpio una filosofia di vita e la frase "sbaglia i
rigori solo chi ha il coraggio di tirarli" è ispirazione per il 90% dei
ragazzi del nostro liceo.
Oggi
Roberto Baggio ha 55 anni, non segue più il calcio, vive in campagna con la sua
famiglia e si dedica alla caccia, ma quel 17 maggio 1994 è un incubo che lo
persugue tutti i giorni.

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