giovedì 24 novembre 2022

Il totalitarismo secondo Pasolini: la società dei consumi

  

Il poeta bolognese afferma che la forma più pericolosa di totalitarismo è costituita dalla società di massa, la quale si presenta come una democrazia ma, in realtà, impone un unico modello, che deve essere valido per tutti



di Gabriele Rigoni

Pier Paolo Pasolini è stato indubbiamente uno dei più grandi intellettuali del secolo scorso e la sua genialità è insita nelle riflessioni che riguardano la società e il suo futuro, trattandosi di pensieri assolutamente anomali per i tempi in cui si trovava il poeta bolognese. Pasolini criticava infatti la nascente società dei consumi e le abitudini borghesi, che stavano emergendo con una prepotenza sempre maggiore. In un articolo scritto sul Corriere della Sera il 9 dicembre del 1973 egli istituiva un parallelo tra il fascismo e la civiltà dei consumi, sostenendo che quest’ultima avesse raggiunto lo scopo di colonizzare fino in fondo le anime delle persone, mentre il consenso su cui poggiava il regime fascista era, in molti casi, un’adesione superficiale a un’ideale malato. Il fascismo, se non altro, aveva il pregio di manifestarsi per quello che era: una dittatura sanguinaria, al cui vertice si trovava un criminale senza scrupoli. La società dei consumi si presenta invece come una forma di democrazia, quando in realtà essa impone un unico modello valido per tutti gli esseri umani, i quali sono convinti di essere liberi, senza dunque rendersi conto di avere perso la possibilità di scegliere. La conseguenza è l’instaurazione di un totalitarismo perfetto, molto più efficiente rispetto ai sistemi dittatoriali instauratisi in Europa e in Russia nella prima metà del novecento.

A distanza di quasi cinquant’anni le considerazioni di Pasolini risultano maledettamente attuali. All’epoca in cui furono scritte, queste riflessioni non poterono chiaramente essere comprese, dato che il modello che il poeta bolognese criticava aveva apparentemente garantito, dopo la fine della seconda guerra mondiale, una formidabile ripresa economica del nostro paese e un benessere che coinvolgeva un numero sempre maggiore di persone. Il boom economico italiano era in realtà perlopiù dovuto ai miliardi stanziati dagli Stati Uniti attraverso il piano Marshall, che si rivelò fondamentale per permettere al Belpaese di incominciare una ricostruzione e una rinascita dopo il terribile ventennio fascista e gli orrori della guerra. Si fece largo quindi la convinzione che il modello consumista fosse l’unico accettabile e che non potesse essere messo in discussione per nessun motivo. Nei decenni successivi all’articolo di Pasolini, il capitalismo ha incominciato a mostrare le spine e ci si è accorti che in una società improntata su tali ideali aumentano le diseguaglianze e vi è la totale anestetizzazione del pensiero critico. In questo caso l’adesione al pensiero unico non viene ottenuta attraverso la forza e la violenza, come avveniva con il fascismo, ma sono gli individui stessi che aderiscono spontaneamente al totalitarismo, senza porsi domande sulla possibilità che possano esistere modelli alternativi a quello consumistico, comunemente accettato da tutti. Purtroppo la situazione sembra in continuo peggioramento e l’avvento dei social network non è stato altro che una conferma di ciò che Pasolini sosteneva. Dal punto di vista teorico, infatti, ciascuno di noi è libero di non possedere uno smartphone e di non essere iscritto a nessun social. Dal punto di vista pratico, invece, chi compie una scelta di questo tipo si vede preclusa la possibilità di avere una qualsiasi forma di vita sociale, venendo di fatto escluso dalla società civile. Lo scrittore bolognese aveva quindi pienamente azzeccato le sue previsioni e, nonostante all’epoca non fosse stato compreso, l’importanza di certe osservazioni risalta in modo evidente rileggendo il suo articolo dopo tanti anni, con il lettore che si rende conto di essere anch’esso all’interno di una forma di totalitarismo, senza però avere la possibilità di fare qualcosa per tentare di uscirne.

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