domenica 4 maggio 2025

“Di cultura non se magna”

 


La frase tratta dal film “Come un gatto in tangenziale, ritorno a coccia di morto” di Riccardo Milani  può sembrare a prima vista innocua e semplice, ma è una palese interpretazione (seppur comica)  di un fenomeno molto diffuso e ormai parte integrante del tessuto sociale italiano e globale: l'anti-intellettualismo.

 di Adele Fabris e Laura Gutan

 

La ricerca del sapere e lo studio della natura umana hanno da sempre affascinato l’uomo ed è proprio a questa curiosità intellettuale che dobbiamo lo sviluppo tecnologico, etico e sociale che contraddistingue la nostra società odierna. Contemporaneamente allo sviluppo e alla venerazione dell’intelletto va accostato un altro fenomeno opposto, che sta acquisendo sempre più popolarità e supporto.  Parliamo dell’ anti-intellettualismo. 

Richard Hofstadter nel suo libro Anti-intellectualism in American Life (1963) descrive in maniera dettagliata questo fenomeno in seguito a reali preoccupazioni rispetto al sorgere di vari movimenti legati all’odio dell’intelletto; nel saggio ci viene data questa definizione di anti-intellettualismo:  "Come idea, [l'anti intellettualismo] non è una singola proposizione ma un complesso di proposizioni correlate, come atteggiamento, non si trova solitamente in una forma pura ma in ambivalenza, un disgusto puro e slegato dell'intelletto e degli intellettuali è raro. E come soggetto storico, se può essere chiamato così, non è un filo costante ma una forza che fluttua di volta in volta nella sua forza e attinge la sua forza motrice da fonti diverse. [… ] La tensione comune che unisce gli atteggiamenti e le idee che io chiamo anti intellettuali è un risentimento e sospetto della vita, della mente e di coloro che sono considerati a rappresentarla; e una disposizione costante a minimizzare il valore di quella vita." 

È quindi un fenomeno pragmatico e  complesso che presenta diverse facce in base al periodo storico, background sociale e politico, descrivibile come la degradazione sistematica dei fatti basati sulla scienza, dello studio della teoria e della conoscenza, degradazione che può avvenire in svariati modi. 

Richard Hofstadter riconosce tre principali tipi di anti-intellettualismo: l’anti-razionalismo religioso, l’anti-elitismo populista e la strumentalizzazione inefficiente.

L'anti-razionalismo religioso si basa sul rifiuto della ragione, logica e fatti a favore di emozioni, morali e dogma religiosi: un esempio eclatante è il rifiuto dell’evoluzione darwiniana da parte di alcuni gruppi religiosi, un cieco rifiuto di fatti scientificamente provati in favore di un mito religioso; le emozioni, le morali e la religione non vanno però condannati in quanto anche essi fanno parte della natura umana, ma la loro strumentalizzazione per diffondere l’anti-intellettualismo è decisamente imputabile. 

L’anti-elitismo populista invece rifiuta le élite istituzionali e tutti quegli individui categorizzati nelle élite sociali e/o intellettuali: quindi si traduce in un rifiuto categorico di tutte quelle informazioni provenienti da fonti governative o da persone specializzate in determinati campi di ricerca, ad esempio durante la crisi pandemica molte erano le persone in Italia, e nel resto del mondo, che rifiutavano l’esistenza del Covid nonostante la quantità impressionante di ricerche condotte dai diversi governi e ricercatori che smentivano tale credenza. Questo perché rifiutare informazioni dallo Stato e da esperti è considerato l’equivalente di ribellarsi all’ élite al potere, ma questo rifiuto porta a cercare conferma in altre fonti, in altre forme di media senza fondamento scientifico e controllate da individui che non hanno a cuore il benessere delle persone (come la cosiddetta élite), ma individui che ambiscono al controllo delle masse e quindi al potere. 

Infine la strumentalizzazione inefficiente consiste nella credenza che l’inseguimento della teoria e della conoscenza sia inutile e non necessaria se non può essere impiegata per scopi pratici: nella quotidianità questo si trasforma nella degradazione di qualsiasi interesse intellettuale, “Sprechi solo tempo a studiare filosofia, non ti servirà mai a nulla”.

Hofstadter, all’interno del libro da lui scritto, ci tiene a sottolineare che  l'anti intellettualismo ripone le proprie radici fondamentalmente in America.

Pertanto quello dell’ostilità e diffidenza verso l’intelletto non  è un  fenomeno nuovo ma, anzi, è definibile una piaga comparsa ormai parecchi secoli addietro e che da centinaia di anni dilaga in America costituendo una vera e propria componente caratteristica della cultura americana che con il tempo ne plasmò l'economia e l’intera società.

Con l’arrivo sulle coste del Nord America, i coloni europei portarono con sé conoscenza e credenze puritane ed evangelistiche protestanti che lasciarono un profondo segno nella cultura americana.

I padri fondatori furono fortemente influenzati da queste dottrine tanto che Benjamin Franklin e George Washington abbracciarono fin da subito l’ideale maschile dell’uomo forte.

Tale ideale ha come fondamento l’uomo “fatto da sé” senza debolezze che si realizza nell’ambito della propria professione iniziando dal basso con impegno, perseveranza e senza l’aiuto di nessuno, capace pertanto di diventare un ricco industriale solo attraverso il duro lavoro partendo dal niente. Tuttavia l’elemento per noi chiave di tale ideologia è che per ottenere tutto ciò non era ovviamente necessaria alcuna istruzione, se non una superficiale conoscenza della fede cristiana.

Gli intellettuali istruiti erano addirittura considerati effeminati, impotenti e privi di fede, vigore e virtù, cioè tutto ciò che rappresentava il pilastro portante della religione e della proprietà aziendale.

Tale visione era tanto radicata che non riuscì a scamparvi neanche il loro stesso presidente Thomas Jefferson in carica dal 1801 al 1809, principale autore della dichiarazione d’indipendenza, politico, scienziato e architetto. Quest’ultimo venne ripetutamente deriso dai leader del partito federalista a causa del suo intelletto e ritenuto per questo incapace di svolgere incarichi presidenziali e militari.

Ad alimentare le sfiducia ed i sospetti verso l’intelletto contribuì anche la fondazione di università come Harvard e Yale, tuttora ritenute tra le più prestigiose al mondo, poiché sembrava allontanassero ulteriormente la classe operaia e gli studiosi, alimentando così la convinzione popolare che gli intellettuali sapessero solo nascondersi dietro alte pile di libri senza produrre nulla di utile per la società. 

In seguito il movimento per l'efficienza del 1890-1930 innescò una serie di cambiamenti nel governo e nell’economia volti  a ridurre gli sprechi ed a massimizzare la produzione, tale compito venne affidato ad esperti in grado di identificare i molteplici problemi e standard dispendiosi. Sebbene la pratica attuata fosse necessaria e vantaggiosa per tutti andò ancora una volta a rafforzare le differenze tra gli esperti intellettuali e i lavoratori comuni ed entro gli anni sessanta questo divario tra saggezza convenzionale e pensiero intellettuale si evolse in una vera e propria guerra culturale. I nuovi sviluppi nella società, il movimento per i diritti civili, la liberazione delle donne ed il sentimento pacifista furono respinti e banalizzati dagli anti-intellettuali che criticarono tali movimenti definendoli antitetici al patriottismo americano, convinzione che tuttavia rimane ampiamente diffusa ancora oggi.

Hofstadter all’interno del libro analizza come leader di governo e ricchi fossero sempre diffidenti nei confronti degli intellettuali, temendo che la conoscenza di questi ultimi avrebbe potuto danneggiare l’ordine sociale.

Il filosofo e pedagogista statunitense John Dewey scrisse infatti: ”Se iniziamo a pensare, nessuno può garantire quale sarà il risultato,[...] le istituzioni saranno sicuramente condannate. Ogni pensatore mette in pericolo una parte di mondo apparentemente stabile e nessuno può prevedere certamente cosa emergerà al suo posto.”

Se poi mettiamo a confronto le ragioni per cui nacque l’istruzione pubblica in America rispetto che in Europa potremmo notare come questa paura sia tuttora fortemente percepita e di come abbia pesantemente influenzato il loro sistema educativo.

In seguito ad un viaggio in Prussia l’educatore e politico statunitense Horace Mann, riconosciuto anche come il padre dell’istruzione pubblica americana, rimase fortemente affascinato dall’ordine e dalla disciplina degli studenti all’interno delle scuole, e decise, pertanto, una volta tornato in America di fondare il sistema d’istruzione obbligatoria, affermando che: “L’ordine è essenziale in tutte le attività commerciali.”

Da quel momento in poi anche i bambini più poveri ebbero accesso alla scuola, tuttavia l'obiettivo di tale cambiamento non era quello di far loro acquisire intelletto, ma di prepararli a diventare la prossima generazione di docili api operaie. 

In seguito anche John D. Rockefeller e Frederick T. Gates contribuirono al modellamento del moderno sistema di istruzione pubblica, promuovendo intenzionalmente la frequentazione delle scuole pubbliche così da far sviluppare alle nuove generazioni le competenze che li avrebbero resi idonei al lavoro nelle fabbriche.

Ad oggi la maggior parte delle scuole americane sono scarsamente finanziate facendo sì che in assenza dei mezzi necessari a fornire un'istruzione di qualità una larga fetta di popolazione sia completamente ignorante o quasi. 

Difatti meno una persona è istruita più è propensa a credere nello Stato e nella propaganda, a non mettere in discussione chi è al potere e le loro scelte di governo essendo privi della capacità di pensiero critico.

Com’ è facile immaginare, i politici, le grandi  corporazioni e le istituzioni religiose traggono grande vantaggio dal fenomeno dell’anti-intellettualismo, servendosene per attirare determinati gruppi demografici ed indurli a sostenerli.

Dwight Eisenhower, quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti d’America, fu uno dei primi a rendere popolare l’uso in ambito politico dell’anti-intellettualismo come tattica psicologica manipolativa.

Durante la sua campagna presidenziale descrisse gli intellettuali come uomini che spendono più parole del necessario per dire più di quanto sappiano, nonostante lui stesso avesse ricoperto la prestigiosa carica di presidente della Columbia University, i suoi discorsi erano infatti un’attenta messa in scena volta a persuadere la gente comune andando a rafforzare la percezione di una presunta classe intellettuale che creava una divisione nelle menti della popolazione.

Da allora è così che i politici americani avrebbero comunicato con i loro seguaci conservatori, infatti la campagna presidenziale di ogni candidato repubblicano da Nixon a Trump, avrebbero seguito la narrazione del leader forte, caratterizzato dalla saggezza convenzionale e che non ha bisogno di affidarsi ad esperti o accademici.

Tuttavia spesso anche i presidenti democratici furono colpevoli di utilizzare l’anti-intellettualismo come strumento politico loro vantaggioso, per esempio il presidente Lyndon B. Johnson per far leva sull’approvazione degli elettori durante i suoi discorsi menzionava la sua infanzia ed educazione operaia nelle zone rurali del Texas e affermava che gli intellettuali erano più interessati al superficiale che alle cose che avevano veramente costruito l’America.

Dagli Stati Uniti abbiamo importato molto: dalla bottiglia rossa di Coca Cola ai film di Hollywood, dai blue jeans alla pop art, ma abbiamo anche esportato molto verso gli Stati Uniti (nonostante i dazi): dalla pizza allo stile palladiano adoperato per la Casa Bianca. È normale che in un mondo globalizzato come il nostro vengano messe in contatto culture molto diverse tra di loro, per questo in Italia oggi convivono diverse tradizioni e scuole di pensiero provenienti da tutto il mondo, ma insieme a queste si diffondono anche ideologie e fenomeni malati provenienti da altre nazioni. 

Gli USA non sono infatti gli unici a soffrire le pene dell’anti-intellettualismo, questo fenomeno si è diffuso ed è arrivato in Italia nonostante si presenti in maniera un po’ differente a causa dei diversi background storici e culturali. 

Nonostante la storia italiana sia una storia di arte, filosofia, architettura e scienza una certa diffidenza e odio verso gli intellettuali è sempre stato presente. 

L’accesso alla cultura è stato a lungo un lusso accessibile solo a pochi benestanti, gli intellettuali per secoli costituirono l’élite al potere, élite che raramente pensava al resto della popolazione, quindi questa si è sempre ribellata: la popolazione non provava disprezzo nei confronti della conoscenza e della teoria, ma provava piuttosto disprezzo per gli intellettuali in quanto padroni opprimenti e non in quanto intellettuali. 

Quello che noi potremmo individuare come atteggiamenti anti-intellettuali nella storia italiana sono più spesso il frutto di ignoranza, scarso accesso all’istruzione e diffidenza nei confronti di un’élite ingiusta. Prendiamo come esempio un episodio tratto dal romanzo scritto da Alessandro Manzoni “I promessi sposi”: la peste cominciò a diffondersi, prima la sua esistenza fu negata, poi la colpa è stata affibbiata agli untori e si diffuse una generale diffidenza nei confronti di tutti, dinamiche che ricordano il Covid, ma anche un tipo di anti-intellettualismo prima esposto: l’anti-elitismo populista. Vanno fatte però delle specificazioni: nel 1629-1630 erano pochissime le persone che avevano conoscenze mediche, quindi le informazioni su una nuova malattia, come la peste in questione, erano estremamente rare e solitamente imprecise pertanto il popolo privo di un'istruzione cercava di darsi risposte con i mezzi che possedeva. La differenza è che i negazionisti della peste non avevano abbastanza conoscenze e informazioni sul tema, mentre i negazionisti del Covid sì e nonostante questo hanno deciso di negare quello che era un fenomeno certo e provato da molte ricerche condotte non da barbieri, ma da numerosi esperti.

Ora torniamo al XXI secolo: grazie ai forti contatti con gli USA e grazie all’enorme quantità di informazioni che abbiamo a disposizione l’anti-intellettualismo è giunto anche in Italia, ma in forma un po’ diversa. Anche nel nostro Paese esistono negazionisti del Covid, complottisti e estremisti religiosi, questi però rappresentano fortunatamente una minoranza della popolazione, ma atteggiamenti del tipo anti-intellettuale più “soft” sono  però molto più comuni.

Il degrado di tutta quella conoscenza che non può essere utilizzata a scopo pratico ne è un esempio. Spesso si assumono atteggiamenti anti-intellettuali senza nemmeno accorgersene, ad esempio, avete mai detto frasi come : “Ma a cosa serve la storia? Al colloquio di lavoro non mi chiederanno mai quando è stato incoronato Carlo Magno!”, se la risposta è positiva, allora siete stati tentati dall’anti-intellettualismo. Il passo successivo è comprendere se lo si è detto dopo aver preso un brutto voto nella verifica di storia  o se lo si è detto perché veramente si crede che tutto ciò che, secondo la propria opinione, non serve nel mondo lavorativo non valga la pena di essere studiato. 

Un’importante distinzione rispetto agli USA è il ruolo che l’anti-intellettualismo svolge in politica, in Italia tutti hanno il diritto ad un’istruzione di qualità (art.34 Costituzione) in modo che le diseguaglianze conseguenti alla mancanza di questa vengano attutite. Inoltre l’Italia è immersa nella cultura, chi nasce in Italia nasce nello Stato con più siti UNESCO al mondo. La cultura va però tutelata, infatti in Italia esiste un ministero della cultura ed uno dell’istruzione, mentre negli Stati Uniti non viene attribuita neanche lontanamente la stessa importanza alla cultura e all'istruzione, infatti il presidente americano Donald Trump il 20 marzo 2025 ha firmato un ordine esecutivo per smantellare il dipartimento dell’istruzione che aveva già messo in mano ad una persona inadatta al ruolo vista la sua inesistente esperienza in ambito educativo.

Se l’Italia non è (ancora) caduta in basso quanto gli Stati Uniti è perché la nostra democrazia si fonda anche sulla cultura e non solo sul profitto.

L’anti-intellettualismo non minaccia solamente la cultura e la curiosità intellettuale, ma minaccia anche le nostre libertà.

La libertà è uno dei valori alla base della nostra democrazia: libertà d’espressione, libertà d’associazione, libertà di manifestazione ci sono tutte garantite dalla Costituzione, ma in assenza di libertà di pensiero non sono altro che un’illusione.

Una Nazione di persone che non pensa per sé è più facile da governare, quando si riesce a trasformare il pensiero in un mezzo duttile, manipolabile e debole allora la democrazia trema: ne sono prova tutti i regimi totalitari che si sono serviti di propaganda e di vari mezzi di indottrinamento per manipolare popolazioni intere e ridefinire ogni loro idea di giusto e sbagliato. Se il pensiero non viene allenato allora sarà più facile per una persona carismatica e assetata di potere riesca ad imporre le sue idee su popoli interi, se il pensiero critico viene sviluppato i potenti non potranno essere potenti e gli oppressi non potranno essere oppressi.

Il pensiero critico è definibile come la capacità di valutare e analizzare oggettivamente un problema in modo da crearsi una propria opinione, porsi domande di fronte ad un’asserzione in modo da poter sviluppare un’idea che può essere discussa e confrontata. La disciplina che si basa sul porsi domande e sul discutere la natura delle cose, e quindi sul pensiero critico, è la filosofia, una di quelle discipline che l’anti-intellettualismo ripudia e  condanna come inutili. E’ per questo che l'anti-intellettualismo è uno degli strumenti preferiti dalle persone desiderose di potere per ottenere il controllo delle masse, andando a degradare e impedire attraverso ogni mezzo possibile il pensiero critico. 

Per migliorare le proprie critical thinking skills, oltre che studiare filosofia, è utile il dibattito. Il dibattito ti costringe ad analizzare una mozione e a presentare solitamente tre argomentazioni a favore o contro questa, tutte caratterizzate da un’asserzione, un ampio ragionamento e una evidence (uno studio, un caso di cronaca o l’opinione di uno specialista)  che sostenga la propria posizione, ma il dibattito è anche ascoltare e in seguito confutare quanto detto dalla squadra avversaria. Il dibattito non solo ti insegna a pensare, ma ti insegna anche ad ascoltare le opinioni altrui e presentare valide critiche senza mai andare ad offendere personalmente chi si ha di fronte, competenza che è anche questa necessaria per poter esprimere liberamente la propria opinione in una democrazia. 

Nonostante viviamo in un’epoca democratica dove abbiamo a disposizione enormi quantità di conoscenza pare che le persone siano sempre meno incoraggiate a pensare con la propria testa. Le due cause principali di tale fenomeno sono: la degradazione delle scienze umanistiche e i social media.

La degradazione delle scienze umanistiche ha portato ad un sempre minore  interesse dei neodiplomati nei confronti di percorsi di studio legati allo studio di tali materie: secondo un articolo di CNBC tra le facoltà universitarie più rimpiante ci sono giornalismo, sociologia, arte e l’unica materia STEM sulla lista è biologia. Sono proprio quelle materie così rimpiante che sviluppano maggiormente il pensiero critico in quanto richiedono un intenso lavoro di analisi, lettura critica e scrittura, ma solitamente gli studenti optano per percorsi  di studio STEM in quanto promettono maggiori retribuzioni e offerte lavorative, questo perché la società capitalista in cui viviamo ha svalutato le materie umanistiche a tal punto che nessuno se ne cura più, ma non è sempre stato così.

Scienze umanistiche e STEM erano fortemente legate tra di loro in passato: la teoria della relatività di Albert Einstein era fortemente ispirata alle teorie del filosofo David Hume che Einstein aveva studiato affondo e che gli permisero di stilare quella che è ora considerata una delle più importanti teorie della fisica.

Altra causa del peggioramento del pensiero critico è legata alla diffusione e all’uso scorretto dei social media: i bambini delle nuove generazioni tendono a ricevere il loro primo telefono o ad avere accesso ad internet sempre in età più precoce, tuttavia l’accesso non supervisionato ed illimitato a quest’ultimo altera la nostra capacità di pensiero critico. 

Gli algoritmi che operano nei social media hanno lo specifico compito di fornire agli utenti contenuti strettamente correlati a ciò con cui si ha precedentemente interagito. Ciò porta lo spettatore ad incastrarsi in una bolla (un’echo-chamber) all’interno della quale è esposto solo ad un tipo molto specifico di informazioni che lo condiziona a pensare in modo superficiale e gli preclude la possibilità di accedere ad altri canali d’informazione per ottenere una forma completa di conoscenza, ostacolando e limitando così la sua capacità d’apprendimento. Inoltre l’utente bloccato in queste echo-chamber, non venendo mai sottoposto a contenuti in contrasto con la sua ideologia, non si trova mai a discutere e confrontare la sua posizione con quella altrui e quindi non sviluppa critical thinking skills.

In questo articolo abbiamo affrontato quello che è un grave problema, problema che rischia di strapparci il nostro patrimonio culturale e le nostre libertà per cui abbiamo molto combattuto. 

“Se c’è qualcosa di più pericoloso per la vita della mente che non avere alcun impegno indipendente verso le idee, è un impegno eccessivo verso qualche idea speciale e limitante.” -Richard Hofstadter, Anti-intellectualism in American Life 

Nessun commento:

Posta un commento