La frase tratta dal film “Come un gatto in
tangenziale, ritorno a coccia di morto” di Riccardo Milani può sembrare a
prima vista innocua e semplice, ma è una palese interpretazione (seppur
comica) di un fenomeno molto diffuso e ormai parte integrante del tessuto
sociale italiano e globale: l'anti-intellettualismo.
La
ricerca del sapere e lo studio della natura umana hanno da sempre
affascinato l’uomo ed è proprio a questa curiosità intellettuale che dobbiamo
lo sviluppo tecnologico, etico e sociale che contraddistingue la nostra società
odierna. Contemporaneamente allo sviluppo e alla venerazione dell’intelletto va
accostato un altro fenomeno opposto, che sta acquisendo sempre più popolarità e
supporto. Parliamo dell’ anti-intellettualismo.
Richard
Hofstadter nel suo libro Anti-intellectualism in American Life (1963)
descrive in maniera dettagliata questo fenomeno in seguito a reali
preoccupazioni rispetto al sorgere di vari movimenti legati all’odio
dell’intelletto; nel saggio ci viene data questa definizione di
anti-intellettualismo: "Come idea, [l'anti intellettualismo] non è
una singola proposizione ma un complesso di proposizioni correlate, come
atteggiamento, non si trova solitamente in una forma pura ma in ambivalenza, un
disgusto puro e slegato dell'intelletto e degli intellettuali è raro. E come
soggetto storico, se può essere chiamato così, non è un filo costante ma una
forza che fluttua di volta in volta nella sua forza e attinge la sua forza
motrice da fonti diverse. [… ] La tensione comune che unisce gli atteggiamenti
e le idee che io chiamo anti intellettuali è un risentimento e sospetto della
vita, della mente e di coloro che sono considerati a rappresentarla; e una
disposizione costante a minimizzare il valore di quella vita."
È
quindi un fenomeno pragmatico e complesso che presenta diverse facce in
base al periodo storico, background sociale e politico, descrivibile come la
degradazione sistematica dei fatti basati sulla scienza, dello studio della
teoria e della conoscenza, degradazione che può avvenire in svariati
modi.
Richard
Hofstadter riconosce tre principali tipi di anti-intellettualismo:
l’anti-razionalismo religioso, l’anti-elitismo populista e la strumentalizzazione
inefficiente.
L'anti-razionalismo religioso si basa sul rifiuto della ragione, logica
e fatti a favore di emozioni, morali e dogma religiosi: un esempio eclatante è
il rifiuto dell’evoluzione darwiniana da parte di alcuni gruppi religiosi, un
cieco rifiuto di fatti scientificamente provati in favore di un mito religioso;
le emozioni, le morali e la religione non vanno però condannati in quanto anche
essi fanno parte della natura umana, ma la loro strumentalizzazione per
diffondere l’anti-intellettualismo è decisamente imputabile.
L’anti-elitismo populista invece rifiuta le élite istituzionali e
tutti quegli individui categorizzati nelle élite sociali e/o intellettuali:
quindi si traduce in un rifiuto categorico di tutte quelle informazioni provenienti
da fonti governative o da persone specializzate in determinati campi di
ricerca, ad esempio durante la crisi pandemica molte erano le persone in
Italia, e nel resto del mondo, che rifiutavano l’esistenza del Covid nonostante
la quantità impressionante di ricerche condotte dai diversi governi e
ricercatori che smentivano tale credenza. Questo perché rifiutare informazioni
dallo Stato e da esperti è considerato l’equivalente di ribellarsi all’ élite
al potere, ma questo rifiuto porta a cercare conferma in altre fonti, in altre
forme di media senza fondamento scientifico e controllate da individui che non
hanno a cuore il benessere delle persone (come la cosiddetta élite), ma
individui che ambiscono al controllo delle masse e quindi al potere.
Infine
la strumentalizzazione inefficiente
consiste nella credenza che l’inseguimento della teoria e della conoscenza sia
inutile e non necessaria se non può essere impiegata per scopi pratici: nella
quotidianità questo si trasforma nella degradazione di qualsiasi interesse
intellettuale, “Sprechi solo tempo a studiare filosofia, non ti servirà mai a
nulla”.
Hofstadter,
all’interno del libro da lui scritto, ci tiene a sottolineare che l'anti
intellettualismo ripone le proprie radici fondamentalmente in America.
Pertanto
quello dell’ostilità e diffidenza verso l’intelletto non è un
fenomeno nuovo ma, anzi, è definibile una piaga comparsa ormai parecchi secoli
addietro e che da centinaia di anni dilaga in America costituendo una vera e
propria componente caratteristica della cultura americana che con il tempo ne
plasmò l'economia e l’intera società.
Con
l’arrivo sulle coste del Nord America, i coloni europei portarono con sé
conoscenza e credenze puritane ed evangelistiche protestanti che lasciarono un
profondo segno nella cultura americana.
I
padri fondatori furono fortemente influenzati da queste dottrine tanto che
Benjamin Franklin e George Washington abbracciarono fin da subito l’ideale
maschile dell’uomo forte.
Tale
ideale ha come fondamento l’uomo “fatto da sé” senza debolezze che si realizza
nell’ambito della propria professione iniziando dal basso con impegno,
perseveranza e senza l’aiuto di nessuno, capace pertanto di diventare un ricco
industriale solo attraverso il duro lavoro partendo dal niente. Tuttavia
l’elemento per noi chiave di tale ideologia è che per ottenere tutto ciò non
era ovviamente necessaria alcuna istruzione, se non una superficiale conoscenza
della fede cristiana.
Gli
intellettuali istruiti erano addirittura considerati effeminati, impotenti e
privi di fede, vigore e virtù, cioè tutto ciò che rappresentava il pilastro
portante della religione e della proprietà aziendale.
Tale
visione era tanto radicata che non riuscì a scamparvi neanche il loro stesso
presidente Thomas Jefferson in carica dal 1801 al 1809, principale autore della
dichiarazione d’indipendenza, politico, scienziato e architetto. Quest’ultimo
venne ripetutamente deriso dai leader del partito federalista a causa del suo
intelletto e ritenuto per questo incapace di svolgere incarichi presidenziali e
militari.
Ad
alimentare le sfiducia ed i sospetti verso l’intelletto contribuì anche la
fondazione di università come Harvard e Yale, tuttora ritenute tra le più
prestigiose al mondo, poiché sembrava allontanassero ulteriormente la classe
operaia e gli studiosi, alimentando così la convinzione popolare che gli
intellettuali sapessero solo nascondersi dietro alte pile di libri senza
produrre nulla di utile per la società.
In
seguito il movimento per l'efficienza del 1890-1930 innescò una serie di
cambiamenti nel governo e nell’economia volti a ridurre gli sprechi ed a
massimizzare la produzione, tale compito venne affidato ad esperti in grado di
identificare i molteplici problemi e standard dispendiosi. Sebbene la pratica
attuata fosse necessaria e vantaggiosa per tutti andò ancora una volta a
rafforzare le differenze tra gli esperti intellettuali e i lavoratori comuni ed
entro gli anni sessanta questo divario tra saggezza convenzionale e pensiero
intellettuale si evolse in una vera e propria guerra culturale. I nuovi
sviluppi nella società, il movimento per i diritti civili, la liberazione delle
donne ed il sentimento pacifista furono respinti e banalizzati dagli
anti-intellettuali che criticarono tali movimenti definendoli antitetici al
patriottismo americano, convinzione che tuttavia rimane ampiamente diffusa
ancora oggi.
Hofstadter
all’interno del libro analizza come leader di governo e ricchi fossero sempre
diffidenti nei confronti degli intellettuali, temendo che la conoscenza di
questi ultimi avrebbe potuto danneggiare l’ordine sociale.
Il
filosofo e pedagogista statunitense John Dewey scrisse infatti: ”Se iniziamo a
pensare, nessuno può garantire quale sarà il risultato,[...] le istituzioni
saranno sicuramente condannate. Ogni pensatore mette in pericolo una parte di
mondo apparentemente stabile e nessuno può prevedere certamente cosa emergerà
al suo posto.”
Se
poi mettiamo a confronto le ragioni per cui nacque l’istruzione pubblica in
America rispetto che in Europa potremmo notare come questa paura sia tuttora
fortemente percepita e di come abbia pesantemente influenzato il loro sistema
educativo.
In
seguito ad un viaggio in Prussia l’educatore e politico statunitense Horace
Mann, riconosciuto anche come il padre dell’istruzione pubblica americana,
rimase fortemente affascinato dall’ordine e dalla disciplina degli studenti
all’interno delle scuole, e decise, pertanto, una volta tornato in America di
fondare il sistema d’istruzione obbligatoria, affermando che: “L’ordine è
essenziale in tutte le attività commerciali.”
Da
quel momento in poi anche i bambini più poveri ebbero accesso alla scuola,
tuttavia l'obiettivo di tale cambiamento non era quello di far loro acquisire
intelletto, ma di prepararli a diventare la prossima generazione di docili api
operaie.
In
seguito anche John D. Rockefeller e Frederick T. Gates contribuirono al
modellamento del moderno sistema di istruzione pubblica, promuovendo
intenzionalmente la frequentazione delle scuole pubbliche così da far
sviluppare alle nuove generazioni le competenze che li avrebbero resi idonei al
lavoro nelle fabbriche.
Ad
oggi la maggior parte delle scuole americane sono scarsamente finanziate
facendo sì che in assenza dei mezzi necessari a fornire un'istruzione di
qualità una larga fetta di popolazione sia completamente ignorante o
quasi.
Difatti
meno una persona è istruita più è propensa a credere nello Stato e nella
propaganda, a non mettere in discussione chi è al potere e le loro scelte di
governo essendo privi della capacità di pensiero critico.
Com’
è facile immaginare, i politici, le grandi corporazioni e le istituzioni
religiose traggono grande vantaggio dal fenomeno dell’anti-intellettualismo,
servendosene per attirare determinati gruppi demografici ed indurli a
sostenerli.
Dwight
Eisenhower, quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti d’America, fu uno
dei primi a rendere popolare l’uso in ambito politico
dell’anti-intellettualismo come tattica psicologica manipolativa.
Durante
la sua campagna presidenziale descrisse gli intellettuali come uomini che
spendono più parole del necessario per dire più di quanto sappiano, nonostante
lui stesso avesse ricoperto la prestigiosa carica di presidente della Columbia
University, i suoi discorsi erano infatti un’attenta messa in scena volta a
persuadere la gente comune andando a rafforzare la percezione di una presunta
classe intellettuale che creava una divisione nelle menti della popolazione.
Da
allora è così che i politici americani avrebbero comunicato con i loro seguaci
conservatori, infatti la campagna presidenziale di ogni candidato repubblicano
da Nixon a Trump, avrebbero seguito la narrazione del leader forte,
caratterizzato dalla saggezza convenzionale e che non ha bisogno di affidarsi
ad esperti o accademici.
Tuttavia
spesso anche i presidenti democratici furono colpevoli di utilizzare
l’anti-intellettualismo come strumento politico loro vantaggioso, per esempio
il presidente Lyndon B. Johnson per far leva sull’approvazione degli elettori
durante i suoi discorsi menzionava la sua infanzia ed educazione operaia nelle
zone rurali del Texas e affermava che gli intellettuali erano più interessati
al superficiale che alle cose che avevano veramente costruito l’America.
Dagli
Stati Uniti abbiamo importato molto: dalla bottiglia rossa di Coca Cola ai film
di Hollywood, dai blue jeans alla pop art, ma abbiamo anche esportato molto
verso gli Stati Uniti (nonostante i dazi): dalla pizza allo stile palladiano
adoperato per la Casa Bianca. È normale che in un mondo globalizzato come il
nostro vengano messe in contatto culture molto diverse tra di loro, per questo
in Italia oggi convivono diverse tradizioni e scuole di pensiero provenienti da
tutto il mondo, ma insieme a queste si diffondono anche ideologie e fenomeni
malati provenienti da altre nazioni.
Gli
USA non sono infatti gli unici a soffrire le pene dell’anti-intellettualismo,
questo fenomeno si è diffuso ed è arrivato in Italia nonostante si presenti in
maniera un po’ differente a causa dei diversi background storici e
culturali.
Nonostante
la storia italiana sia una storia di arte, filosofia, architettura e scienza
una certa diffidenza e odio verso gli intellettuali è sempre stato
presente.
L’accesso
alla cultura è stato a lungo un lusso accessibile solo a pochi benestanti, gli
intellettuali per secoli costituirono l’élite al potere, élite che raramente
pensava al resto della popolazione, quindi questa si è sempre ribellata: la
popolazione non provava disprezzo nei confronti della conoscenza e della
teoria, ma provava piuttosto disprezzo per gli intellettuali in quanto padroni
opprimenti e non in quanto intellettuali.
Quello
che noi potremmo individuare come atteggiamenti anti-intellettuali nella storia
italiana sono più spesso il frutto di ignoranza, scarso accesso all’istruzione
e diffidenza nei confronti di un’élite ingiusta. Prendiamo come esempio un
episodio tratto dal romanzo scritto da Alessandro Manzoni “I promessi sposi”: la peste cominciò a diffondersi, prima la sua
esistenza fu negata, poi la colpa è stata affibbiata agli untori e si diffuse
una generale diffidenza nei confronti di tutti, dinamiche che ricordano il
Covid, ma anche un tipo di anti-intellettualismo prima esposto: l’anti-elitismo
populista. Vanno fatte però delle specificazioni: nel 1629-1630 erano
pochissime le persone che avevano conoscenze mediche, quindi le informazioni su
una nuova malattia, come la peste in questione, erano estremamente rare e
solitamente imprecise pertanto il popolo privo di un'istruzione cercava di
darsi risposte con i mezzi che possedeva. La differenza è che i negazionisti
della peste non avevano abbastanza conoscenze e informazioni sul tema, mentre i
negazionisti del Covid sì e nonostante questo hanno deciso di negare quello che
era un fenomeno certo e provato da molte ricerche condotte non da barbieri, ma
da numerosi esperti.
Ora
torniamo al XXI secolo: grazie ai forti contatti con gli USA e grazie
all’enorme quantità di informazioni che abbiamo a disposizione
l’anti-intellettualismo è giunto anche in Italia, ma in forma un po’ diversa.
Anche nel nostro Paese esistono negazionisti del Covid, complottisti e
estremisti religiosi, questi però rappresentano fortunatamente una minoranza
della popolazione, ma atteggiamenti del tipo anti-intellettuale più “soft”
sono però molto più comuni.
Il
degrado di tutta quella conoscenza che non può essere utilizzata a scopo
pratico ne è un esempio. Spesso si assumono atteggiamenti anti-intellettuali
senza nemmeno accorgersene, ad esempio, avete mai detto frasi come : “Ma a cosa
serve la storia? Al colloquio di lavoro non mi chiederanno mai quando è stato
incoronato Carlo Magno!”, se la risposta è positiva, allora siete stati tentati
dall’anti-intellettualismo. Il passo successivo è comprendere se lo si è detto
dopo aver preso un brutto voto nella verifica di storia o se lo si è
detto perché veramente si crede che tutto ciò che, secondo la propria opinione,
non serve nel mondo lavorativo non valga la pena di essere studiato.
Un’importante
distinzione rispetto agli USA è il ruolo che l’anti-intellettualismo svolge in
politica, in Italia tutti hanno il diritto ad un’istruzione di qualità (art.34
Costituzione) in modo che le diseguaglianze conseguenti alla mancanza di questa
vengano attutite. Inoltre l’Italia è immersa nella cultura, chi nasce in Italia
nasce nello Stato con più siti UNESCO al mondo. La cultura va però tutelata,
infatti in Italia esiste un ministero della cultura ed uno dell’istruzione,
mentre negli Stati Uniti non viene attribuita neanche lontanamente la stessa
importanza alla cultura e all'istruzione, infatti il presidente americano
Donald Trump il 20 marzo 2025 ha firmato un ordine esecutivo per smantellare il
dipartimento dell’istruzione che aveva già messo in mano ad una persona
inadatta al ruolo vista la sua inesistente esperienza in ambito educativo.
Se
l’Italia non è (ancora) caduta in basso quanto gli Stati Uniti è perché la
nostra democrazia si fonda anche sulla cultura e non solo sul profitto.
L’anti-intellettualismo
non minaccia solamente la cultura e la curiosità intellettuale, ma minaccia
anche le nostre libertà.
La
libertà è uno dei valori alla base della nostra democrazia: libertà
d’espressione, libertà d’associazione, libertà di manifestazione ci sono tutte garantite
dalla Costituzione, ma in assenza di libertà di pensiero non sono altro che
un’illusione.
Una
Nazione di persone che non pensa per sé è più facile da governare, quando si
riesce a trasformare il pensiero in un mezzo duttile, manipolabile e
debole allora la democrazia trema: ne sono prova tutti i regimi totalitari che
si sono serviti di propaganda e di vari mezzi di indottrinamento per manipolare
popolazioni intere e ridefinire ogni loro idea di giusto e sbagliato. Se il
pensiero non viene allenato allora sarà più facile per una persona carismatica
e assetata di potere riesca ad imporre le sue idee su popoli interi, se il
pensiero critico viene sviluppato i potenti non potranno essere potenti e gli
oppressi non potranno essere oppressi.
Il
pensiero critico è definibile come la capacità di valutare e analizzare
oggettivamente un problema in modo da crearsi una propria opinione, porsi
domande di fronte ad un’asserzione in modo da poter sviluppare un’idea che può
essere discussa e confrontata. La disciplina che si basa sul porsi domande e
sul discutere la natura delle cose, e quindi sul pensiero critico, è la
filosofia, una di quelle discipline che l’anti-intellettualismo ripudia e
condanna come inutili. E’ per questo che l'anti-intellettualismo è uno degli
strumenti preferiti dalle persone desiderose di potere per ottenere il
controllo delle masse, andando a degradare e impedire attraverso ogni mezzo
possibile il pensiero critico.
Per
migliorare le proprie critical thinking skills, oltre che studiare filosofia, è
utile il dibattito. Il dibattito ti costringe ad analizzare una mozione e a
presentare solitamente tre argomentazioni a favore o contro questa, tutte
caratterizzate da un’asserzione, un ampio ragionamento e una evidence (uno studio, un caso di cronaca
o l’opinione di uno specialista) che sostenga la propria posizione, ma il
dibattito è anche ascoltare e in seguito confutare quanto detto dalla squadra
avversaria. Il dibattito non solo ti insegna a pensare, ma ti insegna anche ad
ascoltare le opinioni altrui e presentare valide critiche senza mai andare ad
offendere personalmente chi si ha di fronte, competenza che è anche questa
necessaria per poter esprimere liberamente la propria opinione in una
democrazia.
Nonostante
viviamo in un’epoca democratica dove abbiamo a disposizione enormi quantità di
conoscenza pare che le persone siano sempre meno incoraggiate a pensare con la
propria testa. Le due cause principali di tale fenomeno sono: la degradazione
delle scienze umanistiche e i social media.
La
degradazione delle scienze umanistiche ha portato ad un sempre minore
interesse dei neodiplomati nei confronti di percorsi di studio legati allo
studio di tali materie: secondo un articolo di CNBC
tra le facoltà universitarie più rimpiante ci sono giornalismo, sociologia,
arte e l’unica materia STEM sulla lista è biologia. Sono proprio quelle materie
così rimpiante che sviluppano maggiormente il pensiero critico in quanto
richiedono un intenso lavoro di analisi, lettura critica e scrittura, ma
solitamente gli studenti optano per percorsi di studio STEM in quanto
promettono maggiori retribuzioni e offerte lavorative, questo perché la società
capitalista in cui viviamo ha svalutato le materie umanistiche a tal punto che
nessuno se ne cura più, ma non è sempre stato così.
Scienze
umanistiche e STEM erano fortemente legate tra di loro in passato: la teoria
della relatività di Albert Einstein era fortemente ispirata alle teorie del
filosofo David Hume che Einstein aveva studiato affondo e che gli permisero di
stilare quella che è ora considerata una delle più importanti teorie della
fisica.
Altra
causa del peggioramento del pensiero critico è legata alla diffusione e all’uso
scorretto dei social media: i bambini delle nuove generazioni tendono a
ricevere il loro primo telefono o ad avere accesso ad internet sempre in età
più precoce, tuttavia l’accesso non supervisionato ed illimitato a quest’ultimo
altera la nostra capacità di pensiero critico.
Gli
algoritmi che operano nei social media hanno lo specifico compito di fornire
agli utenti contenuti strettamente correlati a ciò con cui si ha
precedentemente interagito. Ciò porta lo spettatore ad incastrarsi in una bolla
(un’echo-chamber) all’interno della quale è esposto solo ad un tipo molto
specifico di informazioni che lo condiziona a pensare in modo superficiale e
gli preclude la possibilità di accedere ad altri canali d’informazione per
ottenere una forma completa di conoscenza, ostacolando e limitando così la sua
capacità d’apprendimento. Inoltre l’utente bloccato in queste echo-chamber, non
venendo mai sottoposto a contenuti in contrasto con la sua ideologia, non si
trova mai a discutere e confrontare la sua posizione con quella altrui e quindi
non sviluppa critical thinking skills.
In
questo articolo abbiamo affrontato quello che è un grave problema, problema che
rischia di strapparci il nostro patrimonio culturale e le nostre libertà per
cui abbiamo molto combattuto.
“Se
c’è qualcosa di più pericoloso per la vita della mente che non avere alcun
impegno indipendente verso le idee, è un impegno eccessivo verso qualche idea
speciale e limitante.” -Richard Hofstadter, Anti-intellectualism in American
Life
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