Ora si chiama PCTO, ma continua ad essere una realtà su cui si hanno idee controverse
di
Beatrice Mietto
L’alternanza
scuola-lavoro (ora chiamata PCTO: Percorsi
per le competenze trasversali e per l’orientamento) è una modalità
didattica in cui, attraverso l’esperienza pratica, gli studenti possono
consolidare ciò che hanno studiato in classe; questa è un’attività obbligatoria
per tutti gli studenti del triennio, di durata 210 ore per gli istituti
professionali, 150 per i tecnici e 90 per i licei.
Durante la pandemia questa esperienza si è spesso bloccata, infatti numerosi
studenti non hanno mai potuto sperimentarla; non potendo andare fisicamente nei
luoghi predisposti, si è trovata una soluzione temporanea: il PCTO virtuale,
ovvero la partecipazione a conferenze o incontri a distanza su argomenti che
non differiscono però in base agli indirizzi, cosa che li rende meno efficaci. Molti studenti infatti restano delusi per
quanto riguarda l’ambito in cui si svolgono questa attività: l’alternanza
scuola-lavoro dovrebbe infatti rispettare il percorso di studi che i ragazzi
affrontano in classe, ma spesso si trovano in situazioni completamente diverse;
questo è sicuramente un buon motivo, da parte del ministero dell’istruzione,
per rivedere questo progetto e adattarlo al meglio alle esigenze dei ragazzi. Con il calo dei
contagi, anche queste attività hanno ripreso il loro abituale corso, ma il
tempo che è passato non è di certo stato impiegato dagli imprenditori per
migliorare le loro aziende; il mese di febbraio, infatti, è stato
caratterizzato da una serie di proteste per la morte di un giovane, Lorenzo Parelli,
che svolgendo le sue ultime ore di alternanza, è rimasto ucciso, colpito da una
trave di metallo di 150kg. A questo punto, sorge spontanea la domanda: “Ne vale
davvero la pena?”. Le attività di PCTO sono indubbiamente un’esperienza unica e
importate per i giovani che nel giro di pochi anni entreranno nel modo del
lavoro, ma forse sono troppo poco controllate per quanto riguarda la sicurezza.
Non è infatti ammissibile si possa perdere la vita svolgendo il proprio lavoro,
tantomeno se si tratta di un ragazzo in stage.
Nelle varie proteste, svolte in molte città italiane, molti ragazzi
chiedevano di eliminare questo percorso didattico in quanto lo considerano poco
sicuro per la loro incolumità; altri sostenevano, invece, di dover migliorare
le infrastrutture e le offerte formative proposto dalle scuole, perché appunto
non coerenti al loro percorso di studi.
Per approfondire,
abbiamo intervistato una studentessa del Liceo Fogazzaro, Sofia Mietto,
dell’attuale 5Ce, che ci ha raccontato la sua esperienza di PCTO svolta al
tribunale poco prima dello scoppio della pandemia.
“Allora Sofia, raccontaci il tuo percorso di
alternanza scuola-lavoro.”
“Quando
ero in terza superiore, la mia classe ed io, le prime due settimane di gennaio,
siamo andati al tribunale di Vicenza per affrontare la prima delle due attività
di PCTO. Già a dicembre ci avevano comunicato gli uffici a cui saremmo stati
assegnati in coppia e spiegato le varie mansioni che avremmo dovuto svolgere.
Una mia compagna ed io abbiamo lavorato presso l’ufficio esecuzioni immobiliari
e i nostri tutor ci hanno spiegato tutto ciò che riguardava il funzionamento
degli archivi e dei computer, coinvolgendoci come fossimo vere impiegate. È
stata una bella e utile esperienza perché abbiamo potuto vedere concretizzare
ciò che abbiamo studiato in classe di diritto ed economia, materia di
indirizzo.
“Quali sono stati i lati negativi, se ce ne
sono stati?”
“Riguardo
all’esperienza in modo personale, come l’ho vissuta io, non c’è stato nulla di
negativo, però siamo venuti a sapere che una nostra compagna è stata
infastidita con battute fuori luogo e sessiste da parte di un impiegato, che
l’avevano fatta sentire a disagio e non al sicuro, rovinandole il percorso.”
Tutto
questo non fa altro che confermare ciò di cui si è parlato prima. Sarà quindi
il momento che i politici facciano qualcosa a riguardo?

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