Tutto non è mai come sembra.
Ma, a volte, possiamo farlo credere.
di Emma Pierazzo
Come
ormai è noto la nascita e la diffusione dei social media ha rivoluzionato molti
aspetti della società. Uno di questi è la rappresentazione dei sentimenti. Se
una volta questo aspetto era in mano a cinema, artisti, scrittori, musicisti,
televisione e giornali, oggi è in mano ai singoli individui che attraverso i
social hanno il loro personale "palcoscenico" dove esibire la propria
vita ed esprimere la propria opinione.
In questo
senso i social possono essere una lama a
doppio taglio: da un lato agevolano la comunicazione e i rapporti sociali
con gli altri, dall’altro però favoriscono la diffusione di un’immagine
distorta della realtà. Infatti, com’è naturale che sia, ognuno vuole mostrare
agli altri la versione migliore di se stesso, condividendo solo i momenti
felici della propria vita o addirittura costruendo un’immagine di sé che non
esiste veramente, per esempio ritoccando le proprie foto. Quasi a nessuno verrebbe in mente di pubblicare delle storie mentre si
piange o pubblicare una foto dove si è vestiti male e spettinati. I
sentimenti che vediamo maggiormente rappresentati sono allegria,
spensieratezza, divertimento… insomma sembra che a nessuno succeda mai qualcosa
di brutto e che nessuno sia mai triste. E anche se in fondo sappiamo che quello
che vediamo scrollando il nostro feed non può essere reale, o perlomeno
rappresentare l’interezza della vita di una persona, ci viene naturale
confrontare noi stessi con gli altri e a volte provare un senso di
inadeguatezza o inferiorità. Quindi a nostra volta cercheremo di pubblicare
solo cose belle per far credere agli altri di avere una vita altrettanto felice
o più felice della loro. Si crea così un circolo vizioso e uscirne non è per
niente facile.
Ma cosa
comporta questo nostro comportamento? Se
reprimiamo sentimenti come tristezza, stress, ansia e dolore, dove vanno a
finire questi sentimenti? Una possibilità è che si trasformino in un senso
di vuoto. La loro assenza può infatti portare a sentirsi svuotati. Si ha
l’impressione di muoversi in un ambiente superficiale e leggero che non offre
nessuna prospettiva per il futuro. Un’altra possibilità è che questi sentimenti
si accumulino e finiscano per uscire tutti insieme in una sola volta
lasciandoci la sola opzione di rinchiuderci in casa, infilarci sotto le
coperte, scegliere una serie Netflix da sei stagioni e non uscire più finché
non avremo finito la serie e un pacco intero di Gocciole.
Come
anticipato, prima dell’avvento dei
social la rappresentazione dei sentimenti era compito dei grandi media;
prima che un progetto raggiungesse il pubblico quindi c’era bisogno di una
grande preparazione e il progetto, che fosse una canzone o un libro, doveva
essere approvato da esperti del settore. Al giorno d’oggi, invece, esperti o
meno, basta un clic per condividere un post.
Se andiamo indietro nel tempo negli anni 60’-70’
gli artisti avevano un occhio di riguardo per la tristezza e il dolore, che
erano sentimenti non solo accettati ma a volte addirittura celebrati. Per
esempio la generazione nata negli anni Sessanta, cresciuta in contesti di
disoccupazione, dissesto familiare, crisi economica, alcolismo e droghe
pesanti, mette in musica l'angoscia, il senso di inadeguatezza e di smarrimento,
la solitudine, la frustrazione e l'abuso di sostanze stupefacenti come
l’eroina. È il caso del genere grunge, contaminazione tra hard
rock, metal, punk rock, hardcore punk e new wave, nato proprio in questo
periodo, i cui maggiori esponenti saranno negli anni successivi i “Nirvana”, i “Soundgarden” e “Alice in
chains”.
In Italia
negli anni sessanta si sviluppa molto il cantautorato, tra molti altri è ai
suoi esordi anche Fabrizio De André,
il primo artista italiano a introdurre nelle sue canzoni nuove tematiche di
importanza sociale spesso con una nota malinconica, diverse da quelle
sentimentali che fino ad allora avevano contraddistinto la musica italiana.
In
conclusione, come dovremmo gestire la tristezza al giorno d’oggi? Prima di
tutto bisogna accettare i momenti di sconforto tenendo a mente che i social non
rappresentano la vita reale delle persone e che tutti abbiamo degli alti e dei
bassi. In più, se ci pensiamo bene, la tristezza, come tutti gli altri
sentimenti, ci serve per capire se c’è qualcosa che non va e spesso ci spinge a
escogitare delle strategie di cambiamento.
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