domenica 26 marzo 2023

“Perché il matrimonio è passato di moda?”

 

La caduta libera di un'istituzione che sta scomparendo

di Alice Rigolon

A partire da un’indagine svolta su un gruppo di studenti frequentanti il Liceo statale Don Giuseppe Fogazzaro, con età compresa tra i 18 e i 20 anni, è stato constatato che quasi il 70% di loro è dell’opinione che l’unione matrimoniale costituisca solamente una sottomissione a un determinato sistema di convenzioni sociali e norme legali, che comportano una fine drastica della libertà individuale.

Con il trascorrere del tempo il matrimonio ha assunto diversi significati nella società,

subendo radicali cambiamenti fino ad evolversi nella forma nella quale lo conosciamo oggi. C’è stato un tempo in cui il matrimonio costituiva un passaggio obbligatorio, una tappa predefinita nel percorso esistenziale di ogni individuo; oggi, invece, sono sempre meno le coppie che scelgono di sposarsi e, anche qualora lo facciano, i processi motivazionali alla base della scelta sembrano essere radicalmente differenti da quelli di una volta. Ma che cosa è cambiato veramente?

Per rispondere a questa ostica domanda è stato necessario basarsi su un recente studio condotto dall’economista Shelly Lundberg insieme al biologo Robert Pollak, i quali hanno analizzato i cambiamenti del complesso fenomeno del matrimonio nel tempo, focalizzandosi sul valore culturale, il significato sociale e la natura economica del matrimonio. Un aspetto fondamentale che caratterizzava la visione matrimoniale durante l’epoca precedente agli anni 50, era la massima vulnerabilità della figura femminile, che si trovava in una condizione “statica” di disagio e immobilità a causa della rigidità del patto matrimoniale (nel quale il marito occupava una posizione di dominio e vantaggio) e dalla conseguente difficoltà di uscita da tale rapporto in termini economici, giuridici e sociali.

A partire dalla seconda metà del secolo, la società occidentale è stata protagonista di

cambiamenti profondi che hanno influenzato notevolmente anche il ruolo del matrimonio. Innanzitutto, a partire dagli anni Cinquanta, sempre più donne hanno avuto la possibilità di scegliere di proseguire gli studi per intraprendere una carriera lavorativa più duratura e significativa in termini di prospettive di crescita e di salario; come conseguenza la priorità di un certo impegno per un’unione matrimoniale è passata in secondo piano. Inoltre di fondamentale importanza sono stati i cambiamenti legislativi che hanno reso possibile per le coppie l’intraprendere la strada del divorzio con minore difficoltà, e maggiore accettazione, anche da un punto di vista sociale.

In questo clima di innovazione e cambiamento il matrimonio ha smesso di essere considerato come una tappa fissa e ordinaria: si è iniziato a sposarsi meno, e in età più avanzata. Se negli anni Cinquanta circa l’85% degli uomini e delle donne erano sposati, nel 2010 la percentuale si è attestata attorno al 65%.

Il numero delle coppie che si sposa è calato in media dell’1,5% all’anno negli ultimi 20 anni; ciò che è aumentato in modo considerevole invece, è il numero delle unioni libere (quelle che vengono riconosciute nel contesto politico attuale come “unioni di fatto”). Infatti, l’aumento del fenomeno della “convivenza” in molti paesi europei può essere spiegato da una necessità di fortificare il legame della coppia approfondendo aspetti affettivi come l’intimità e la reciprocità, lontani da quelli etico-morali, proposti dall’istituzione matrimoniale (come la stabilità e la durata nel tempo).

Quanto scritto ci fa comprendere come la relazione coniugale sia ormai carica di aspettative elevate e difficilmente realizzabili, che la rendono più fragile rispetto al passato. Citando ulteriori dati forniti dall’ISTAT, in Italia, il numero dei divorzi e delle separazioni è più che raddoppiato dal 1995 al 2010. Attualmente ci sono il 30% delle separazioni ed il 20% dei divorzi ogni 100 matrimoni.

Viviamo in un’epoca storica dove il concetto di libertà e di autoaffermazione viene interpretato in un modo singolare, orientando soprattutto i giovani a sottrarsi a qualsiasi tipo di rapporto affettivo stabile, che comporterebbe un’assunzione di responsabilità non indifferente.

La scelta di far parte di un’unione coniugale (che secondo la religione dovrebbe configurarsi come un progetto di vita che trasforma l’amore in impegno reciproco e indissolubile) viene vista dalla società odierna come l’eliminazione di qualsiasi possibilità di svago e divertimento. Infatti spesso si crede di riuscire a mantenere la propria libertà intatta evitando di assumersi la responsabilità che comporta la scelta coniugale: citando il grande filosofo danese Kierkegaard nella sua tesi della vita estetica, “la scelta di non scegliere”.

Altrettanti fattori che possono ostacolare il passaggio matrimoniale sono molteplici:

esperienze passate di delusioni e fallimenti che non si vogliono nuovamente rischiare, le opportunità sociali ed i vantaggi economici che derivano dalla convivenza, una concezione meramente emotiva e romantica dell’amore, un rifiuto verso qualcosa concepito come troppo istituzionale e burocratico, o il timore verso qualcosa che si considera troppo grande e sacro: la cruda verità è che l’essere umano sta diventando sempre di più schiavo della sua stessa paura di impegnarsi.

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