La caduta libera di un'istituzione che sta scomparendo
di Alice Rigolon
A partire
da un’indagine svolta su un gruppo di studenti frequentanti il Liceo statale
Don Giuseppe Fogazzaro, con età compresa tra i 18 e i 20 anni, è stato
constatato che quasi il 70% di loro è dell’opinione che l’unione matrimoniale
costituisca solamente una sottomissione a un determinato sistema di convenzioni
sociali e norme legali, che comportano una fine drastica della libertà
individuale.
Con il
trascorrere del tempo il matrimonio ha assunto diversi significati nella
società,
subendo
radicali cambiamenti fino ad evolversi nella forma nella quale lo conosciamo
oggi. C’è stato un tempo in cui il matrimonio costituiva un passaggio
obbligatorio, una tappa predefinita nel percorso esistenziale di ogni
individuo; oggi, invece, sono sempre meno le coppie che scelgono di sposarsi e,
anche qualora lo facciano, i processi motivazionali alla base della scelta
sembrano essere radicalmente differenti da quelli di una volta. Ma che cosa è
cambiato veramente?
Per
rispondere a questa ostica domanda è stato necessario basarsi su un recente
studio condotto dall’economista Shelly Lundberg insieme al biologo Robert
Pollak, i quali hanno analizzato i cambiamenti del complesso fenomeno del
matrimonio nel tempo, focalizzandosi sul valore culturale, il significato
sociale e la natura economica del matrimonio. Un aspetto fondamentale che
caratterizzava la visione matrimoniale durante l’epoca precedente agli anni 50,
era la massima vulnerabilità della figura femminile, che si trovava in una
condizione “statica” di disagio e immobilità a causa della rigidità del patto
matrimoniale (nel quale il marito occupava una posizione di dominio e
vantaggio) e dalla conseguente difficoltà di uscita da tale rapporto in termini
economici, giuridici e sociali.
A partire
dalla seconda metà del secolo, la società occidentale è stata protagonista di
cambiamenti
profondi che hanno influenzato notevolmente anche il ruolo del matrimonio. Innanzitutto,
a partire dagli anni Cinquanta, sempre più donne hanno avuto la possibilità di scegliere
di proseguire gli studi per intraprendere una carriera lavorativa più duratura
e significativa in termini di prospettive di crescita e di salario; come
conseguenza la priorità di un certo impegno per un’unione matrimoniale è passata
in secondo piano. Inoltre di fondamentale importanza sono stati i cambiamenti
legislativi che hanno reso possibile per le coppie l’intraprendere la strada
del divorzio con minore difficoltà, e maggiore accettazione, anche da un punto
di vista sociale.
In questo
clima di innovazione e cambiamento il matrimonio ha smesso di essere considerato
come una tappa fissa e ordinaria: si è iniziato a sposarsi meno, e in età più avanzata.
Se negli anni Cinquanta circa l’85% degli uomini e delle donne erano sposati,
nel 2010 la percentuale si è attestata attorno al 65%.
Il numero
delle coppie che si sposa è calato in media dell’1,5% all’anno negli ultimi 20
anni; ciò che è aumentato in modo considerevole invece, è il numero delle
unioni libere (quelle che vengono riconosciute nel contesto politico attuale
come “unioni di fatto”). Infatti, l’aumento del fenomeno della “convivenza” in
molti paesi europei può essere spiegato da una necessità di fortificare il
legame della coppia approfondendo aspetti affettivi come l’intimità e la
reciprocità, lontani da quelli etico-morali, proposti dall’istituzione
matrimoniale (come la stabilità e la durata nel tempo).
Quanto
scritto ci fa comprendere come la relazione coniugale sia ormai carica di
aspettative elevate e difficilmente realizzabili, che la rendono più fragile
rispetto al passato. Citando ulteriori dati forniti dall’ISTAT, in Italia, il
numero dei divorzi e delle separazioni è più che raddoppiato dal 1995 al 2010.
Attualmente ci sono il 30% delle separazioni ed il 20% dei divorzi ogni 100
matrimoni.
Viviamo
in un’epoca storica dove il concetto di libertà e di autoaffermazione viene interpretato
in un modo singolare, orientando soprattutto i giovani a sottrarsi a qualsiasi
tipo di rapporto affettivo stabile, che comporterebbe un’assunzione di
responsabilità non indifferente.
La scelta
di far parte di un’unione coniugale (che secondo la religione dovrebbe
configurarsi come un progetto di vita che trasforma l’amore in impegno
reciproco e indissolubile) viene vista dalla società odierna come
l’eliminazione di qualsiasi possibilità di svago e divertimento. Infatti spesso
si crede di riuscire a mantenere la propria libertà intatta evitando di
assumersi la responsabilità che comporta la scelta coniugale: citando il grande
filosofo danese Kierkegaard nella sua tesi della vita estetica, “la scelta di
non scegliere”.
Altrettanti
fattori che possono ostacolare il passaggio matrimoniale sono molteplici:
esperienze
passate di delusioni e fallimenti che non si vogliono nuovamente rischiare, le opportunità
sociali ed i vantaggi economici che derivano dalla convivenza, una concezione meramente
emotiva e romantica dell’amore, un rifiuto verso qualcosa concepito come troppo
istituzionale e burocratico, o il timore verso qualcosa che si considera troppo
grande e sacro: la cruda verità è che l’essere umano sta diventando sempre di
più schiavo della sua stessa paura di impegnarsi.

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